Visentin (Federmeccanica): «L’automotive si sta riconvertendo, ma ora cresca la dimensione delle imprese»
Il presidente di Federmeccanica sulla crisi Speedline: «Il sistema italiano non può vincere la battaglia al ribasso dei prezzi»
Riccardo Sandre
Federico Visentin, presidente nazionale di Federmeccanica
L’evoluzione sostenibile nel mondo dell’auto ha avuto un’accelerazione inaspettata rispetto a due anni fa e il sistema della componentistica è già ora nel pieno di un percorso di riconversione complesso». A dirlo il presidente di Federmeccanica Federico Visentin, che guarda al futuro con la fiducia di un imprenditore di lungo corso ma anche con la consapevolezza che per il distretto veneto dei componenti per il settore dell’auto (che conta poco meno di 200 imprese, occupa circa 10 mila lavoratori e, nel 2019, fatturava circa 2,9 miliardi) il futuro non sarà particolarmente roseo.
Già nel 2021 si inizieranno a vedere sui bilanci delle imprese i riflessi della sfida che ha imposto l’Europa chiarendo che per il 2035 non si dovranno più produrre macchine a combustione interna?
«I bilanci delle imprese nel 2021 dovrebbero essere mediamente in forte crescita per lo meno in termini di fatturato. Ma attenzione: fatturato non vuole dire redditività e oramai l’elemento dei costi delle materie prime è diventato una variabile in grado di modificare i fatturati in maniera significativa come mai era accaduto prima d'ora».
Vi preoccupa un nuovo rallentamento della produzione in Europa?
«I fattori di incertezza non sono pochi: il costo delle materie prime, la riduzione delle vendite delle auto e il fatto che nel frattempo i produttori tengono alte le previsioni relative alle loro necessità presso i fornitori, salvo poi acquistare effettivamente solo quanto necessario, impone a quest’ultimi esposizioni finanziarie pesanti in termini di circolante e magazzini stracarichi di componenti invenduti. Una situazione che crea un nuovo allarme liquidità dopo quello, di tutt’altro segno, legato al fermo di marzo e aprile 2020».
Nel frattempo grandi imprese come la Speedline di Santa Maria di Sala o Gkn a Firenze vanno in crisi profonda, che attinenza hanno i due fenomeni?
«Credo sia inutile nascondersi che l’abbandono del motore endotermico, l’introduzione di norme ambientali sempre più stringenti da parte della Ue e una produzione di auto che a livello globale dovrà fare i conti con modelli di viabilità alternativi, sarà un trend di medio termine molto concreto. E qui viene fuori il vero paradosso di un sistema, come il nostro, fatto di tante Pmi».
Un paradosso?
«Sì, in pratica le nostre Pmi, essendo piccole e con cervelli molto vicini alla produzione, hanno una capacità di adattamento superiore ad imprese più grandi e magari con proprietà lontane dal territorio come ad esempio Gkn a Firenze o la stessa Speedline di Santa Maria di Sala. E tuttavia le une come le altre si trovano costrette a combattere una battaglia dei prezzi, sempre al ribasso, che un sistema come quello italiano non può vincere per quanto bravi possano essere gli imprenditori a fare innovazione di processo. L’unica alternativa è crescere nelle dimensioni per avere la forza di fare investimenti e acquisizioni così da potere stare al fianco dei propri clienti mettendo a disposizione la capacità innovativa tipica di questi territori per sviluppare nuovi progetti e nuovi prodotti. Si risponderebbe ad una necessità che il sistema vive in maniera molto forte in questo periodo di evoluzione e si inizierebbe a governare i processi senza doverli subire lottando per la sopravvivenza sul solo elemento del prezzo».
Ma dai paradossi per definizione è difficile uscire, cosa suggerite di fare?
«Come Federmeccanica e grazie alla partecipazione molto attiva dei manager di grandi gruppi come Bosch, Brembo e così via, abbiamo costruito delle Task Force che aiutino le imprese, soprattutto le Pmi, a orientare i propri investimenti e le proprie progettualità. Nel contempo siamo convinti che la crescita dimensionale, tramite acquisizioni mirate, alleanze strategiche e così via, sia uno strumento importante per procedere ad un riconversione per quanto parziale verso altri settori e altri mercati. Ma questo è possibile solo grazie a a competenze e formazione. Del personale, certo, ma anche del management. Uno sforzo collettivo che lo Stato dovrebbe supportare a tutti i livelli: dal supporto agli Its alle operazioni di investimento diretto nelle imprese che vogliono crescere tramite Cdp e Sace e così via».
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