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Brevetti, il bivio Tribunale, «Sede a Milano o uscire»

Davide e Daniele Petraz (studio Glp): «Sistema penalizzante per le Pmi italiane». L’ipotesi di una sede depotenziata, con competenze residuali, non convince

Elena Del Giudice
2 minuti di lettura

In quella che è stata una partita a due, tra Germania e Francia, scese in campo per difendere le proprie sedi del Tub, il Tribunale unico dei brevetti europei, e spartirsi le competenze della sede londinese, che l’Uk ha perso con la Brexit, ci sarebbe una sola decisione da assumere: «O sede a Milano con piene competenze, oppure l’Italia esca dal sistema».

A dirlo Davide e Daniele Petraz, alla guida dello studio Glp, che da oltre 50 anni è tra le eccellenze italiane e internazionali nel settore della proprietà intellettuale. Il d-day è il primo giugno, giorno in cui è atteso al debutto il Tribunale unico dei brevetti europei che, come accennato, avrebbe dovuto articolarsi su tre sedi, Londra, Monaco e Parigi, poi scese a due.

Si aprì a quel punto la discussione su dove insediare la terza sede del Tub, e logica - ma anche dimensioni di attività per numero di contenziosi - avrebbe voluto fosse Milano. È di qualche giorno fa la notizia di un’intesa che vedrebbe a Milano una sede staccata del Tub, ma con minori competenze rispetto a quelle assegnate a Londra.

«A nostro avviso - rileva Davide Petraz - la politica ha sottovalutato il peso del Tribunale, guardando al solo giro d’affari generato dalla presenza di una corte, e non a quello che è il reale impatto del brevetto unico europeo sul sistema industriale». Non solo, l’Italia è stata accondiscendente in merito alla lingua della procedura presso le sedi locali del Tub.

«I contenziosi in Francia e in Germania prevedono l’utilizzo di francese e tedesco - rimarca Daniele Petraz - con quel che ciò significa in termini di costi di traduzione. Milano, invece, oltre all’italiano concede l’opzione della lingua inglese». Un’indicazione, peraltro, di buon senso: «se si volesse tutelare l’industria nazionale - aggiunge Davide Petraz - come è stato fatto in Francia e in Germania, non avremmo dovuto concedere l’inglese come lingua opzionale».

Il “compromesso” sulla sede centrale a Milano prevede una competenza residuale sul comparto farmaceutico, limitato ad alcune linee di prodotto per un modesto giro d’affari, a cui aggiungere moda e arredo.

«Ciò che non si è compreso - sottolineano i professionisti - è che il Tribunale è un elemento di difesa degli interessi nazionali, tanto più ora che, in un contesto di globalizzazione bipolare, molte produzioni torneranno in Europa, nel corso di un processo di reindustrializzazione di fatto già iniziato».

Un altro elemento da considerare è il ricorso al brevetto, in cui l’Italia non è tra i top, neanche europei.

E dunque? «Se in questo modo si pensa di risparmiare sulle cause attive, ci si illude - spiegano i Petraz -. Vero è che se altri dovessero farci causa, anche grazie ai costi del sistema del brevetto unico europeo, potrebbero distruggere il nostro sistema produttivo. Un esempio? Se l’azienda ai vertici mondiali per numero di brevetti decidesse di attaccare la piccola o media azienda friulana che produce cellulari, per raggiungere lo scopo basterebbe che avviasse una pluralità di cause davanti al Tub. E questo perché, a prescindere che tu chiami in giudizio o che tu venga chiamato, la tassa è la stessa, 11 mila euro solo per il provvedimento cautelare. Se il valore del contenzioso arriva a 50 milioni, ci sono 350 mila euro da versare alla corte mentre le spese legali possono arrivare ragionevolmente fino a 2 milioni di euro. Questo significa versare fino a 2,35 milioni solo di costi in base alle previsioni che in questi giorni stanno circolando. Quante Pmi se lo possono permettere? E aggiungiamo che quell’azienda ai vertici mondiali, spende 11 milioni l’anno solo in tasse presso l’ufficio europeo dei brevetti per proteggere le proprie innovazioni».

La sede di Milano del Tub potrebbe essere l’occasione per rimettere in discussione un sistema pericoloso per il nostro tessuto industriale e sgradito alle imprese. «Dalle prime statistiche, oltre il 90% delle aziende ha deciso di restarne fuori».—

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