Lavoro Fvg, meno posti fissi: la manifattura in frenata
L’Ires Fvg: a Trieste le assunzioni a tempo indeterminato in flessione del 5,4%, segnali positivi da lavoro intermittente (+17,5% in regione) e stagionale (+5,3%)
Luigi dell’Olio
Dal mercato del lavoro arrivano segnali contrastanti, in linea con le incertezze che caratterizzano lo scenario macroeconomico, tra il rischio crescente di recessione per il nostro Paese e il carovita che continua a marciare su ritmi sostenuti, sebbene non più ai ritmi visti sul finire dello scorso anno.
Secondo un’elaborazione Ires Friuli Venezia Giulia su dati Inps, nel primo trimestre di quest’anno il numero di assunzioni in regione, per quel che concerne il settore privato (esclusi i lavoratori domestici e gli operai agricoli) è diminuito dell’1,1% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno.
In particolare, spiega il ricercatore dell’Ires Fvg Alessandro Russo, si rileva una consistente flessione del numero di nuovi contratti di lavoro in somministrazione (-16,8%, pari a 1.500 assunzioni in meno), probabilmente dovuto a un rallentamento delle attività manifatturiere.
Proprio dall’industria sono arrivati i primi segnali di rallentamento del ciclo economico, con un calo degli ordinativi sin dai primi mesi di quest’anno (dovuti soprattutto all’indebolimento della domanda internazionale), mentre sul fronte del Pil e su quello dei consumi si sfruttava l’onda lunga del turismo. Tendenze che invece hanno poi caratterizzato anche questi altri indicatori in tempi più recenti. Guardando allo spaccato provinciale, le performance peggiori sono state registrate a Gorizia (-23,1%) e Pordenone (-26,1%), mentre Udine ha limitato la contrazione al 12,2% e Trieste al 2,1%.
Anche le assunzioni a tempo indeterminato evidenziano una contrazione, sebbene molto più contenuta (-1,5%, 100 in meno), condizionata dalle dinamiche negative a Trieste (-5,4%) e nella Destra Tagliamento (-3,8%). All’opposto arrivano segnali positivi per quel che concerne i contratti di lavoro intermittente (+17,5% in regione) e stagionale (+5,3%), molto diffusi nel comparto turistico.
Il che fa ben sperare anche per le rilevazioni successive, dato che sia il periodo pasquale, sia quello dei ponti primaverili sono stati caratterizzati da numeri importanti nel comparto turistico. Mentre vi sono maggiori preoccupazioni relativamente al trimestre in corso, considerato che molte strutture ricettive regionali nel periodo agostano hanno registrato un numero di presenze sensibilmente inferiore rispetto allo scorso anno, a causa principalmente dell’inflazione che ha ridotto la capacità di spesa delle famiglie.
Ad attenuare le preoccupazioni sono anche i dati relativi alle dimissioni. Dopo la forte ondata di addii nel 2021, il fenomeno è andato via via perdendo vigore. Questo sia perché la congiuntura attuale non rende facile il ricollocamento, sia perché l’inflazione elevata erode rapidamente i risparmi accumulati nel tempo.
Tra gennaio e marzo, le cessazioni dei rapporti di lavoro sono diminuite del 7,4%, fermandosi a quota 29.156. Un tasso inferiore al calo dei nuovi contratti, per cui il risultato è un incremento dell’occupazione dipendente, a fronte di un calo di quella autonoma.
Un altro dato: se la maggior parte dei rapporti di lavoro si esauriscono dietro input del dipendente, nel tempo è cresciuta l’incidenza dei licenziamenti disciplinari dei lavoratori a tempo indeterminato: dal 2,5% del totale nel 2014 all’attuale 6,1%. Una tendenza che si spiega anche alla luce del mutato atteggiamento dei giudici del lavoro, che mostrano una maggiore apertura rispetto al passato verso i datori di lavoro che percorrono questa strada.
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