Leonardo Del Vecchio, dalle case minime al tetto del mondo: “Voglio solo essere il più bravo di tutti”
Esce il 17 maggio la biografia di Mister Luxottica firmata da Tommaso Ebhardt. La storia di Del Vecchio è una epopea bella e struggente, che racconta di un uomo con un grande talento, enorme merito ed una innegabile fortuna: in molti (ancora oggi, dopo tutte queste conferme) continuano a commettere l’errore di sottovalutare la forza e la pazienza che può avere un ex-bambino che voleva essere solo una cosa: il migliore
Roberta Paolini
Leonardo Del Vecchio
Leonardo Del Vecchio avrebbe potuto fallire. C’è stato un momento in cui la sua epopea poteva infrangersi, nel 1969, quando un direttore della Banca del Friuli di Agordo gli negò un fido. Una banca di Agordo, il cuore del regno di Luxottica, la sua origine. Alla sorte l’ironia non manca mai. Ma poi ci fu un’altra banca, la Cassa di Risparmio di Belluno, che invece quel finanziamento glielo accordò e la storia poté proseguire. Per fortuna di tutto il bellunese e del resto del nostro paese. L’episodio inedito viene raccontato dal Corsera, in una delle anticipazioni della biografia Leonardo Del Vecchio (Sperling&Kupfer) firmata dal giornalista Tommaso Ebhardt, in uscita il 17 maggio.
Anche se, non ce ne vogliate, credere che un uomo come Del Vecchio avrebbe potuto fallire sembra se non impossibile, almeno improbabile. Non sarebbe il genio imprenditoriale che è, un uomo che ha dimostrato di non aver timore di eventuali cadute, perché il rischio è connaturato al fare impresa, ma soprattutto che ha dimostrato in talmente tante occasioni di essere stato benedetto da una marmorea determinazione e da una ambizione senza limiti. Lui il bambino delle case minime che ha scalato un settore diventando il migliore. E che lo fa dire, ancora oggi, a quasi 87 anni (li compirà il 22 maggio) «Io voglio essere il più bravo in tutto quello che faccio. Tutto qui».
Del Vecchio nel bellunese era un “foresto”, arrivava da Milano. E probabilmente in pochi allora presero sul serio quel terzista che veniva da fuori, in fondo lì c’erano già avviate e grandi dinastie imprenditoriali degli occhiali, i Tabacchi con Safilo e la famiglia Marcolin.
Quando la piccola fabbrica riaprì ad Agordo dopo le ferie estive, il commercialista esterno che curava la contabilità, si legge sul Corsera, lo accolse così: «Ma come, non vi avevano chiuso il conto? Non siete falliti?». «No, ragioniere, siamo ancora aperti», rispose il ventenne Del Vecchio.
Il mito di quest’uomo non risiede solo nella sua ricchezza spropositata, nella genialità delle sue idee, ma come tutti sanno anche nelle sue umilissime origini. Del Vecchio è partito dal gradino più basso della scala sociale. Era un immigrato. In una Italia molto più grande di quella dell’era globalizzata, dove se arrivavi dal sud eri un forestiero, un italiano a metà. La sua famiglia veniva dalla Puglia, Leonardo non conobbe il padre che morì prima della sua nascita e a sette anni, la madre Grazia, non essendo in grado di prendersi cura di quattro figli mandò il più piccolo, lui, all'orfanotrofio dei Martinitt. Un luogo che per lui fu più di un ricovero, perché lì apprese il valore della vita, l’etica della fatica.
Nel suo fascicolo di allora, finora inedito, si legge «urge immediato ricovero perché viene dall'ambiente delle case minime e passa la giornata nel più completo abbandono».
Il piccolo Leonardo passò da una modestissima casa della periferia milanese di Baggio alle austere camerate dell'istituto. La divisa, la sveglia alle sei, la fila per lavarsi, a petto nudo, anche d'inverno. Quando nel 1949 chiede di lasciare in anticipo l'istituto spiega che vuole diventare «un ottimo meccanico specializzato».
«È stata la mia fortuna - confida a Ebhardt - perché il collegio è diventato la mia famiglia. Stavo bene, mi hanno insegnato delle regole».
Il suo braccio destro, con il quale si narra si dia ancora del lei, è Luigi Francavilla, di origini pugliesi anche lui. «Ho la fortuna di aver trovato - dice Del Vecchio - persone che avevano la mia stessa volontà».
Non tutti gli incontri sono uguali, quello con Andrea Guerra all’inizio è un colpo di fulmine. Ma con il top manager, che ha pilotato l’azienda verso grandi risultati, ad un certo punto, l’idillio si rompe. Guerra viene accompagnato alla porta e Del Vecchio torna in azienda. Successivamente, dopo alterne vicende, chiama Francesco Milleri come ad, un manager quasi sconosciuto che si dimostra in grado di condurre quella che l’imprenditore chiamerà il “coronamento del sogno di una vita”. Parliamo della fusione tra Luxottica ed Essilor e la nascita del più grande, e di gran lunga, operatore del comparto occhialeria e lenti del mondo.
Il resto è storia recente, la grande sfida su Generali, l’ascesa in Mediobanca, le donazioni nel mondo della sanità, la capacità di creare un modello di welfare aziendale studiato ed apprezzato, l’affetto non quantificabile di tutta la sua gente, circa 15 mila dipendenti solo in Italia.
La storia di Del Vecchio è una epopea bella e struggente, che racconta di un uomo con un grande talento, enorme merito ed una innegabile fortuna: in molti (ancora oggi, dopo tutte queste conferme) continuano a commettere l’errore di sottovalutare la forza e la pazienza che può avere un ex-bambino che voleva essere solo una cosa: il migliore.
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