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Paolo Scaroni: «Più tranquilli nelle forniture del gas. Competitività in calo ma non è così terribile»

Il banchiere d’affari di Rothschild ed ex amministratore delegato Eni. «Prezzi più alti, però l’impatto non colpirà tutti allo stesso modo»

Maurizio Caiaffa
4 minuti di lettura

«La crescita delle forniture di gas dall’Algeria ci mette in una posizione di maggiore tranquillità, riguardo alla nostra autonomia energetica». Paolo Scaroni, vicentino, attualmente Deputy Chairman della banca d’affari Rothschild e, fra l’altro, già amministratore delegato di Enel e di Eni, è uno dei massimi esperti nazionali di mercati dell’energia. Scaroni si destreggia senza incertezze fra le notizie che si accavallano in queste settimane: la discesa del prezzo del gas, il price cap deciso dalla Ue sul gasolio, il piano RepowerEu per rendere l’Europa indipendente dai combustibili fossili russi, una recessione annunciata che in realtà, per il momento, non sta producendo i temuti sconquassi nel mondo della produzione, ma certo qualche serio contraccolpo sul potere d’acquisto delle famiglie.

Dottor Scaroni, cominciamo dal gas. Il prezzo scende. Emergenza alle spalle?

«Il prezzo del gas era in crescita già nel 2021 dalla media storica dei 20 euro per megawattora, come conseguenza della ripresa post Covid e del conseguente aumento dei consumi. Nel febbraio 2022 scoppia la guerra in Ucraina e le aspettative sulle forniture dalla Russia fanno schizzare in alto i prezzi. Con una punta l’estate scorsa, quando c’è stata la rincorsa dei governi a riempire gli stoccaggi in vista dell’inverno. Tutti a fare la fila per il Gnl del Qatar. E il prezzo è schizzato a 350 euro».

Adesso siamo intorno ai 60 euro. Cos’è accaduto?

«Non siamo in un periodo di frenesia degli acquisti, l’inverno si sta rivelando mite, e i governi hanno la ragionevole certezza che il gas non mancherà neanche se entro marzo le condizioni meteo peggioreranno. Però attenzione: è pur vero che il prezzo del gas ora è più che doppio rispetto a prima e che lo paghiamo il triplo degli Stati Uniti».

Quindi i problemi si ripresenteranno la prossima estate?

«C’è sicuramente da augurarsi che non si ripeta la stessa frenesia, e che gli acquisti avvengano in modo più ordinato. Se così sarà, saremo in grado di affrontare lo scenario delle zero forniture dalla Russia».

Continuando però a pagare il gas più di prima.

«Sì, anche perché il gas liquefatto trasportato via nave costa di più di quello che arriva via tubo. In generale il prezzo del gas pone all’Europa e all’Italia un tema di competitività, ma non così terribile. Bisogna distinguere. Produzioni come quelle petrolchimiche che hanno nel gas la materia prima principale, andranno preferibilmente negli Stati Uniti piuttosto che da noi. Ma se il costo dell’energia è una piccola parte del business, come di norma nelle piccole e medie imprese del Nordest, parliamo di un aggravio gestibile».

Riguardo alle forniture del gas, cosa stanno producendo gli sforzi di lungo periodo per sganciarsi dalla dipendenza russa?

«Noi italiani abbiamo una carta fondamentale da giocare, ed è l’Eni. L’Eni è la prima compagnia in Africa, ed è lunghissima la lista di Paesi di quel continente in cui opera. Ebbene, fra questi Paesi figura l’Algeria, con la quale siamo collegati con un gasdotto che arriva in Sicilia. Quando ero amministratore delegato io (dal 2005 al 2014, ndr), eravamo molto preoccupati perché non si facevano scoperte di nuovi giacimenti. Ma dopo il 2016, in alleanza con la compagnia locale, Sonatrach, Eni ha fatto grandi scoperte di gas».

E questo può cambiare gli equilibri attuali?

«Non tanto da sostituire completamente le forniture russe, ma certamente da dare una grossa mano. Potremmo diventare noi esportatori verso i Paesi del Nord Europa».

Le condizioni per cui questo si verifichi quali sono?

«Il potenziamento del gasdotto dall’Algeria. E lo “sbottigliamento2 di quelli dal Sud al Nord Italia. C’è da adeguare le infrastrutture fra Abruzzo e Marche e mi auguro che vengano superate le questioni burocratiche necessarie».

C’è un argomento collegato. In questi giorni è stato introdotto il price cap sul prezzo del gasolio, noi ne importiamo grandi quantità dalla Russia. Però non è chiaro quali possano essere le conseguenze.

«Nel gas le infrastrutture sono fondamentali, nel gasolio no. Se noi europei non compriamo più gas russo, spariscono dal mercato 150 miliardi di metri cubi, perché la Russia non può venderlo in India e in Cina per il semplice fatto che non ci sono i gasdotti. Invece per il gasolio, il prodotto rimane sul mercato, venduto in Paesi come la Cina e la Turchia. E l’India sta già attrezzando le sue raffinerie per la maggiore domanda dall’Europa. Certo, il gasolio costerà di più, e già ora costa più della benzina. Ma non mancherà».

Cosa pensa del piano RepowerEu messo a punto in queste settimane? Per l’Italia altri 9 miliardi da investire nella transizione energetica.

«È una risposta al piano Biden. Noi europei dobbiamo fare uno sforzo per rispondere, perché già gli Stati Uniti beneficiano di prezzi dell’energia e del gas più bassi, oltre ad avere cospicue entrate petrolifere».

Al di là di questo aspetto, dalla transizione energetica ci possiamo aspettare l’abbandono delle fonti fossili?

«L’Unione europea si è posta l’obiettivo emissioni zero entro il 2050. Se è solo con il solare e l’eolico non ci arriveremo mai, a meno di salti tecnologici al momento non prevedibili. Le rinnovabili debbono essere affiancate anche dal nucleare. Il solare e l’eolico in Europa producono il 27% dell’energia elettrica che consumiano. Ma l’energia elettrica è il 20% dell’energia complessiva. Quindi solare ed eolico rappresentano solo il 5,5% dell’energia che consumiamo in Europa. Dopo grandi investimenti iniziati nel 2004».

Il nucleare a suo parere è una tecnologia affidabile?

«Solo in Italia abbiamo dubbi al riguardo. Il mondo ha ripreso a investire nel nucleare. In questo momento ci sono nel mondo 52 centrali in costruzione in Paesi come la Gran Bretagna, la Francia, la Finlandia e il Giappone».

Parliamo della congiuntura. Come la vede?

«Per il momento non vedo una recessione, né negli Stati Uniti, né in Europa né in Italia. Certo tutti guardiamo al rialzo dei tassi: in Europa probabilmente cresceranno per tutto quest’anno. Sotto questo aspetto il rallentamento, oltre che probabile, è voluto, anche se non penso che l’inflazione quest’anno verrà riportata sotto il 2%. Consideriamo del resto che la liquidità iniettata negli anni scorsi dalla banche centrali era stata davvero ingente. E adesso la Bce si muove in coda alla Federal Reserve. E credo che andranno avanti con i rialzi».

E l’industria del Nordest in questo scenario?

«Ogni volta che incontro un imprenditore, vicentino o veneto, mi dice che sta andando benone. L’export cresce e c’è la piena occupazione».

Il potere d’acquisto delle famiglie non va così bene.

«Questo sì ci preoccupa, anche se nel Nordest della piena occupazione le famiglie, specie quelle multireddito, se la cavano. In altre aree d’Italia la fase attuale è un brutto colpo». —

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