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Chi sono i re del vino: 4,6 miliardi all’anno nei calici

Nel settore italiano operano 585 aziende, per un valore del mercato 2021 stimabile intorno ai 10 miliardi di euro. I primi 23 gruppi vinicoli contribuiscono al 43% del mercato. Il Triveneto fa il 45% del mercato, con 150 società vinicole e un fatturato di 4,6 miliardi

Roberta Paolini
2 minuti di lettura

Che il Nordest abbia la leadership italiana del vino non è un segreto. Nel settore italiano operano 585 aziende, per un valore del mercato 2021 stimabile intorno ai 10 miliardi di euro. I primi 23 gruppi vinicoli contribuiscono al 43% del mercato. Il Triveneto fa il 45% del mercato, con 150 società vinicole e un fatturato di 4,6 miliardi.

I numeri dunque ci sarebbero, ma il processo di consolidamento in atto non ha ancora creato un player globale a misura dei conglomerati stranieri. Insomma l’Italia non ha ancora il suo Lvmh, divisione wine&spirits, o un Gallo Winery e neppure un Constellation Brands. Guardando alle cifre di questi gruppi è chiaro a tutti che un Gallo Winery da solo fa tutto il volume d’affari del Nordest. Ma le cifre per arrivare a quel livello e ad una soglia di ingresso attorno al miliardo di ricavi almeno per staccare il biglietto ed entrare a far parte del club dei grandi potrebbero esserci, se il processo di consolidamento proseguirà alla velocità cui è partito da un triennio a questa parte.

Analizzando le società con fatturato sopra al milione di euro l’Italia ha due grandi gruppi di imprese che rispondono ad una suddivisione b2c branded che sommano 10 miliardi complessivi di ricavi cui si sommano produttori b2b non branded-coltivatori che arrivano ad un ulteriore giro d’affari per 3 miliardi, portando il comparto del vino a superare un valore di fatturato pari a 13 miliardi di euro.

L’analisi è stata effettuata da Adacta Advisory che ha disegnato sulla base di queste cifre il perimetro del fenomeno su cui ha realizzato l’analisi. Il settore, precisa Adacta Advisory, è concentrato: 43 società (il 7%) producono ricavi per 5,5 miliardi pari al 55 per cento del totale, mentre 542 società (il 92%) il residuo 45%.

Analizzando ulteriormente si identifica una ulteriore concentrazione, e questa mappa consente di comprendere come il processo di aggregazione in atto da qualche anno abbia iniziato a identificare i primi campioni nazionali. I principali 20 gruppi operanti in Italia raggiungono, infatti, un aggregato di 4,4 miliardi, vale a dire il 44 per cento: guardando alla composizione della proprietà si trovano 7 cooperative, 3 private equity backed, 1 quotata e 9 capitali privanti.

E veniamo al contributo del Nordest tra i campioni: il Triveneto annovera 12 dei 20 gruppi principali: vale a dire Argea-gruppo Botter, Cavit, Zonin, La Marca, Santa Margherita, Ferrari Lunelli, Villa Sandi, Vi.Veneto Orientale, Mionetto, Contri e Gruppo Cantine Riunite - GIV (parzialmente) e il gruppo Italian Wine Brands gruppo IWB (parzialmente).

Come emerge da questi nomi è palese come l’intensa attività di M&A di questi anni abbia identificato nuovi player. A guidare questo fenomeno sono gli operatori di private equity e qui sta un altro aspetto interessante la matrice dei fondi in azione nell’attività di aggregazione è italiana. Mancano quindi dallo scenario, almeno per il momento, gli operatori internazionali. Segno che probabilmente stiano attendendo la creazione di un player che raggiunga la soglia critica del miliardo per scendere nell’arena. I percorsi di build up in corso per la creazione di poli del vino italiano, ricorda Adacta Advisory, sono Argea (quindi Clessidra) con progetto Botter, Quadrivio con Prosit, Credem e Hyle Capital con Contri Spumanti, Investindustrial con il polo macchinari Della Toffola.

Nella comunità finanziaria il modello di investimento sembra essere quello che punta alla separazione della proprietà fondiaria (land owner) dal ramo operativo (azienda agricola operativa). I maggiori rendimenti generati da quest’ultimo sono attrattivi per i fondi. La sfida per gli investitori finanziari sarà dunque quella di intercettare realtà imprenditoriali che intendono sviluppare (o addirittura creare) il proprio brand, uniformandosi a modello di business simili ad esempio a Constellation Brands.

«Il settore vinicolo mostra ancora alcune debolezze relativamente al rendimento sul capitale investito – spiega Paolo Masotti, ad di Adacta Advisory – ci sono varie strategie per migliorare questo parametro, tra cui rafforzare i brand, valorizzare la geografie, sviluppare vini che incontrano il gusto di larghe fasce di mercato e, valorizzando la storia e la reputazione del vino italiano, accelerare l'internazionalizzazione»

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