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Guerra: «Caso Wärtsilä, le regole sono stringenti c’è una procedura rigorosa per tutelare i lavoratori»

L’ex sottosegretaria all’Economia nei governi guidati da Conte e Draghi. «Principio della responsabilità d’impresa troppo spesso dimenticato»

Luigi dell’Olio
2 minuti di lettura

«Non ci saranno fughe in avanti. Nel tempo l’Italia si è data una serie di regole per tutelarsi da situazioni in cui gruppi multinazionali decidono di lasciare il Paese. Non si può in alcun modo ledere la libertà d’impresa, ma i paletti sono chiari». A parlare è Maria Cecilia Guerra, economista con una lunga esperienza come professore ordinario di Scienza delle finanze, oltre che in politica prima come sottosegretaria all'Economia nei governi Conte II e Draghi e ora come responsabile lavoro del Pd.

Professoressa, alla luce di quanto sta succedendo nella vicenda Wärtsilä, che ha chiesto ai sindacati di avviare il confronto sulla cassa integrazione l’Italia venendo meno agli accordi precedenti, è indifesa di fronte a possibili chiusure lampo delle imprese, che poi spostano la produzione altrove?

«Non direi. Negli anni il nostro Paese ha messo a punto un sistema di difesa da queste ipotesi. L’ultima novità normativa risale alle ultime settimane del Governo Draghi, che ha fissato regole stringenti per eventuali chiusure con l’obiettivo di trovare una differente destinazione per gli impianti produttivi».

Detto in parole povere, non si può chiudere da un giorno all’altro…

«Assolutamente no. La libertà d’impresa non è in discussione, ma quando un’azienda storica chiude, come nel caso in questione, occorre considerare che questo ha un impatto molto forte sul territorio non solo per l’occupazione diretta, ma anche per tutto l’indotto collegato. È perciò prevista una procedura rigorosa fissata per legge che stabilisce tempistiche e soggetti da coinvolgere nel confronto, in particolare rappresentanti sindacali e delle istituzioni».

In sostanza di prende tempo sperando in un ripensamento?

«L’obiettivo principale è prendere tempo per cercare di salvare il più possibile l’occupazione, trovando un nuovo soggetto interessato e qualificato in grado di rilevare l’attività d’impresa. Oppure si può attuare un processo di riconversione del sito produttivo, nel caso in questo sia possibile. In questa fase l’impresa può essere assistita, sempre a patto che rispetti gli accordi. Nel caso di Wärtsilä la società ha deciso una delocalizzazione basata su valutazioni di riorganizzazione interna, non certo per mancanza di profitti. Anzi, la collocazione accanto a un porto dinamico come quello di Trieste offrirebbe grandi opportunità di sviluppo del business».

Ci sono anche due ipotesi di subentro…

«Da quello che si capisce non vi sono le condizioni accennate in precedenza. In un caso, l’azienda tirata in ballo ha smentito l’interesse; nell’altro non soddisfa i requisiti richiesti. Ricordiamo che in caso di mancato accordo, sono previste penalizzazioni di carattere economico, che andrebbero a finanziare la Naspi, cioè le misure a sostegno dei disoccupati che si verrebbero a creare. Ma, ripeto, la normativa è strutturata in modo da cercare in tutti i modi un accordo: l’impresa che non collabora viene penalizzata pesantemente».

Anche perché spesso le multinazionali per anni godono di risorse pubbliche.

«Esatto. Lo si è visto più volte nel tempo e proprio questo ha spinto l’evoluzione normativa verso la previsione dell’obbligo di restituire le somme ricevute in caso di atteggiamenti predatori».

Tornando al caso in questione, c’è dunque da attendersi tempi lunghi?

«Tempi lunghi dato che occorre valutare numerosi fattori. Attendiamoci anche un braccio di ferro legale tra gli opposti interessi. C’è un principio del fare impresa, che è la responsabilità, troppo spesso dimenticato. Occorre essere molto fermi su questo punto».

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